SCRIVERE TRA GLI IBLEI: DOROTY ARMENIA SI RACCONTA

Le vie della scrittura sono infinite. La mia, parte e fa sempre ritorno alla punta sudorientale dell’omerica isola di Trinakria. Chiunque si sia lasciato affascinare da questa terra e dalle storie che affiorano dalle pietre e dalle bocche della sua gente, lo sa bene: ogni distacco è apparente; ogni allontanamento è solo temporaneo, e se si nasce con l’indole dello scrittore, credo non ci sia luogo più felice di questo dove ho avuto la sorte di nascere. La cosiddetta “regione iblea”, che si protende nell’azzurro del Mediterraneo verso l’Africa, con le sue cave carsiche percorse da dolci acque trasparenti e la fitta vegetazione animata da bestie selvatiche, i profondi anfratti umidi e le tombe preistoriche e paleocristiane, le barocche cittadine iblee nate dalla vittoria creatrice sul Kaos del famoso terremoto secentesco, tutto questo ha gettato nel mio immaginario un potente seme, germinato in forma di parola. Scrivo da quando ho memoria cosciente di me. In realtà anche da prima di avere imparato a scrivere: sul pentagramma di un quadernetto di musica arrivato alle mie mani non ricordo più come, scarabocchiavo quelli che in dialetto rosolinese chiamiamo “ciciallòlli”, ed attribuivo a ciascuno di essi un significato; poi rileggevo, ai miei primissimi ascoltatori, storie sospese tra invenzione e realtà, tra il visto, l’udito e l’immaginato. Non ho mai smesso di farlo.

Solo nel 2019 però mi sono decisa a fare il mio personale coming out da scrittore, proponendo ai miei editori preferiti una bizzarra raccolta poetica scritta in una lingua babelica, palinsestica come sono la terra e la letteratura siciliane. Così è stato dato alle stampe “Un somnio de nejente” (Eretica Editore), recentemente musicato e cantato nell’ultimo disco di Neus Borrell e Bru Ferri, Llibretes y Orogénesis (The Indian Runners). Dentro le liriche del mio “sogno da niente”, ho fatto scorrere secoli di storia della lingua, e fatto risuonare la voce di molti poeti amati, che ho “rimasticato” per rendere l’immagine simbolica di un somnio che si autodefinisce provocatoriamente de nejente.

Il mio secondo progetto, edito da Le Fate Editore nel 2020, mi ha permesso, attraverso il linguaggio del cuntu siciliano e della fiaba, di mettere in luce l’immenso patrimonio folklorico ibleo: le cinque storie di Forse c’era e forse non c’era sono un rutilante e avventuroso viaggio nell’universo fantastico urbano e campestre del Val di Noto. Anime nascoste tra la cenere della tannùra, ladri di bambini che vanno girando con la canicola, a filinòna, orchi cannibali con testa umana e corpo di cavolo, volpi, scale e limoni parlanti e la Morte bbuttana in persona compaiono in questi racconti, in cui il paesaggio e la brulicante vita umana e naturale figurano, si può dire senza esagerare, a titolo di protagonisti.

Infinite sono le vie della scrittura e la scrittura è infinita. Molti altri sono i progetti letterari che ho messo a maturare, e che mi auguro di poter condividere con voi lettori, magari sotto il tetto della mia Putìa letteraria, in Contrada Stafenna, nel cuore degli Iblei, tra le timpe ed i libri che nutrono la mia scrittura.

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